Il bullismo è un problema sempre più caldo e sentito nel dibattito culturale e formativo contemporaneo. In effetti è una questione che incide sul benessere quotidiano degli adolescenti e le famiglie, quando capita che i figli ne siano coinvolti, non sanno bene con quali strumenti fronteggiarlo. Tra l’altro, il fenomeno è peggiorato con la diffusione del cyber-bullismo, che può distruggere in un giorno la reputazione di un ragazzo sulla piazza dei social.

Perfino Papa Francesco ha ritenuto opportuno sollevare il tema al Congresso Mondiale della Fondazione Pontificia Scholas Occurantes esortando a “fermare le aggressioni” perché “Il bullismo è un’aggressione che nasconde una profonda crudeltà” e gestirlo è divenuto parte della sfida educativa.

Questa generazione di ragazzi, genitori e professori hanno bisogno di supporto. La questione chiave è il modo in cui i corsi vengano progettati e realizzati, chi li porti avanti e con quali finalità e riferimenti teorici. Perché i corsi proposti nelle scuole non possono diventare uno spazio per veicolare approcci ideologici o by-passare il ruolo educativo delle famiglie.

Vogliamo così presentare un corso antibullismo ideato da Progetto Pioneer per essere lontano dalle strumentalizzazioni ideologiche. Il progetto in questione ha la ricchezza di un’esperienza concreta che si è svolta in una scuola superiore pubblica di Roma, l’IIS Pacinotti-Archimede, nel corso del’anno scolastico 2015-16.

Per capire di più su questo Progetto, dal titolo “Hospes-hostis, Amico-nemico identità e accoglienza” abbiamo scelto di presentarlo attraverso 6 domande che ci sono state poste di frequente.

Perché la scelta di un titolo latino per il progetto e cosa significa?

Questo titolo ci è sembrato molto bello, anche se non immediato, perché i termini latini sottolineano molto bene come tra l’ospite che accolgo (hospes) e il nemico (hostis) che rifiuto, c’è una radice comune tutta da scoprire.  L’“Hos” indica che  c’è un’etimologia comune, che la storia dei significati di queste due parole s’intreccia. Derivano dalla stessa radice, perché di fronte allo straniero (l’estraneo, il diverso da me) io devo essere ospite. Com’è stato spesso fatto notare “l’origine comune di questi due termini si conserva nella loro potenziale intercambiabilità, nel senso che colui che è hospes è sempre anche hostis, è sempre nella condizione di diventare egli stesso “straniero”, viandante, bisognoso di ospitalità. Al punto da poter affermare che hostis e hospes non indicano due “stati”, due condizioni oggettive e immutabili, ma segnalano piuttosto due dinamiche che si intrecciano e sono sempre suscettibili di convertirsi l’una nell’altra. Ciascuno di noi, dunque, è al tempo stesso e inscindibilmente ospite e straniero, in quanto l’alterità – in qualunque forma essa si manifesti – è fondamentale per la definizione della nostra identità”.

Vuol dire che se qualcuno è mio amico o mio nemico, non dipende solo dall’altro, e da “chi è l’altro”ma anche da “chi sono io” e da come mi pongo io. Dal modo in cui io scelgo di farmi spazio, di creare o meno uno spazio interiore di accoglienza o rifiuto, di farmi abitare o non abitare dall’altro, di quanto sono disposto a conoscerlo nel suo essere “straniero”, di come mi pongo rispetto alle linee dell’inclusione e dell’esclusione.

Come nasce la collaborazione tra Progetto Pioneer e l’Archimede?

L’IIS Pacinotti-Archimede è una scuola superiore con tre sedi e due indirizzi: Liceo Scientifico e Istituto tecnico. Quando Progetto Pioneer ha presentato Hospes-Hostis alla scuola, gli era stato proposto di lavorare con una classe considerata un po’ “complessa” da gestire. Su un totale di oltre 1.000 studenti, questo era, da certi punti di vista, il primo più difficile. Ma il quid  del progetto non era quello di migliorare condotta o attenzione. Così, gli esperti del Pioneer hanno voluto incontrare prima gli insegnanti, per farsi un’idea delle difficoltà della classe. Perché l’obiettivo del Pioneer non era fare il corso  tutti i costi, ma capire se il progetto potesse essere effettivamente utile a quei ragazzi concreti. Dopo un’attenta valutazione, l’equipe del Pioneer ha deciso di raccogliere la sfida, ritenendo che la ricchezza di contenuti e stimoli del progetto, avrebbe potuto essere una preziosa risorsa da offrire alla classe.  Così, dopo una riunione con genitori e insegnanti, a marzo il progetto ha preso il via,  per durare circa tre mesi e concludersi in concomitanza con la fine dell’anno scolastico.

 

Per quale età è pensato  il Progetto Hospes-Hostis?

Hospes-Hostis è pensato per il primo decisivo anno delle scuole superiori. Genitori e insegnanti sanno bene che il primo superiore è un momento potenzialmente molto stimolante e delicato. E’ un’età in cui si ha un grande bisogno di amici e nemici, per poter crescere.

In termini evolutivi, l’età considerata è proprio quella dell’adolescenza, in cui si accentua nettamente l’importanza del gruppo dei pari nella costruzione dell’autostima e si avvia una progressiva maturazione del sé come soggetto autonomo e individuato. In questa fase le dinamiche di inclusione ed esclusione rispetto al neonato gruppo classe, possono facilmente trasformarsi in risorse preziose per la crescita serena o in elementi di disagio e vissuti di esclusione e rifiuto di sé.

Per questo, Hospes-hostis si propone l’importante obiettivo di facilitare la creazione del gruppo classe e prevenire la discriminazione del diverso.

E’ in gioco lo sviluppo dell’identità, poiché come il titolo sottolinea tra l’hostis (“il nemico”, che rifiuto) e “l’hospes” (l’ospite, che accolgo) c’è una radice, uno spazio vitale che devo decidere se concedere o meno alle persone con cui entro in contatto.

Il progetto fa idealmente parte di un progetto quinquennale denominato “MegaProgetto5” che si articola nei cinque anni delle superiori.

L’adolescenza è sicuramente un’età complessa da accompagnare, che è stata a lungo presentata come un’età negativa. Secondo noi va affrontata (sia dal punto di vista dell’educatore che del ragazzo) come una sfida: la grande e decisiva sfida verso la conquista dell’identità adulta. Partendo dal test di Gambini che individua molteplici compiti di sviluppo dell’adolescente legati al progressivo percorso di acquisizione dell’identità,  abbiamo messo a fuoco corsi che lavorano su aspetti diversi per ogni anno delle scuole superiori. In modo da essere da supporto ad una maturazione dell’identità pensata in modo complesso e integrato. Per il primo anno, prevediamo appunto questo progetto, che è un laboratorio di relazionalità, che alterna spunti psicologici a tecniche d’improvvisazione teatrale. Per il secondo anno invece, prevediamo un corso di educazione affettivo-sessuale…

 

Com’è strutturato il progetto?

Hospes-Hsotis propone l’alternanza ragionata di numerose attività teoriche e pratiche: come improvvisazione teatrale, cineforum, realizzazione di cortometraggi fatti dai ragazzi e  lezioni frontali. Esperti dell’associazione hanno lavorato fianco a fianco con professionisti di altri settori   tra cui nomi di rilievo e figure specializzate, come l’attore Giovanni Scifoni, lo psicologo Sergio Stagnitta fondatore dell’Associazione “UP” e specializzato nel rapporto tra cinema e psicologia, o il regista televisivo  Simone Di Maria.

In che modo viene perseguita la prevenzione del bullismo?

La prevenzione viene perseguita agendo non in riferimento ad uno specifico target di bullismo, ma sui meccanismi che favoriscono esclusione e inclusione a livello individuale e sociale, accrescendo nei ragazzi quelle competenze emotive, relazionali e di autoconsapevolezza che gli permetteranno di confrontarsi serenamente con qualsiasi forma di diversità. Che sia una questione di aspetto fisico, di appartenenza sociale, di colore della pelle, di scelte sessuali, non si lavora solo sul singolo tema, ma sulla maggiore capacità di riconoscere e gestire le proprie dinamiche interne di accoglienza e rifiuto oltre che sui problemi concreti e reali che emergono di volta in volta nelle classi.

Oltre a promuovere un uso più consapevole degli stereotipi rigidi riguardo a se stesi e agli altri, il progetto intende anche valorizzare la percezione della differenza, in primis quella maschile e femminile, come una ricchezza da valorizzare.

Qual è il ruolo di genitori e insegnanti durante il corso?

Il lavoro che proponiamo ai ragazzi non può prescindere dai loro genitori e insegnanti. Per questo riteniamo decisiva e preziosa la loro informazione, adesione, formazione  e collaborazione in tutte le fasi del corso.

Infatti il progetto prevede il coinvolgimento di genitori e insegnanti a cui vengono dedicati specifici incontri in apertura e chiusura. Progetto Pioneer ritiene infatti essenziale il ruolo della comunità pedagogica reale, costituita da chi segue i ragazzi ogni giorno (docenti e famiglie) ed immagina in questo senso ogni intervento degli esperti dell’associazione come supportivo  della loro attività.

Come indica il nome della nostra Associazione, vogliamo essere pionieri di un nuovo modo di rispondere alla sfida educativa che si pone sempre più urgente, non solo per questa generazione di ragazzi, ma anche per questa generazione di adulti ed educatori.

I ragazzi partecipano al corso solo se i genitori hanno firmato un consenso scritto e dopo aver ricevuto il programma del corso. Inoltre esplicitiamo di volta in volta i riferimenti teorici o gli studi su cui ci basiamo per progettare le attività.  L’obiettivo del progetto sono i ragazzi concreti e la loro maturazione, che avviene attraverso l’attivazione delle loro risorse interne, ma anche  grazie al lavoro di chi gli sta accanto.

L’idea è che le competenze specifiche di psicologi, esperti di comunicazione, artisti, come le nozioni di pedagogia, i cineforum, o le lezioni di improvvisazione teatrale, o gli spunti di filosofia, siano a servizio del ragazzo, che è il centro della progettazione, ed intorno a lui la classe e la comunità pedagogica di riferimento.

Vi è infine un ulteriore importante livello considerato. Spesso anche gli insegnanti e i genitori più attenti, non hanno strumenti specifici per gestire le situazioni concrete di esclusione o difficoltà di cui si accorgono, o modi e momenti per coordinarsi nell’intervento. Il progetto intende rispondere a tale bisogno per favorire l’avvio di una nuova alleanza e momenti per giungere a soluzioni condivise tra genitori e insegnanti.

Qual è stata l’esperienza più bella che avete fatto voi del Pioneer durante il corso all’Archimede?

Il lavoro all’Archimede è stato molto stimolante. Per certi aspetti anche difficile. I professionisti del Pioneer hanno confermato quanto ci era stato già segnalato dai docenti durante la primissima riunione: una certa difficoltà nei ragazzi a seguire le lezione frontali e nell’acquisizione di nozioni astratte. Ma il bagaglio complessivo che abbiamo “portato a casa” è stato estremamente positivo.

I ragazzi hanno mostrato una grande generosità ad aprirsi, a mettersi in gioco personalmente, a far emergere vissuti personali relativi alla propria esperienza di difficoltà, bullismo (sia in termini di vittima che di aggressore o entrambe) o amicizie con la classe. E tutto questo mentre venivano seguiti da un adulto competente e specializzato in dinamiche psicologiche. Un’occasione davvero bella e rara da vivere in corso d’opera, mentre ancora si frequenta il primo anno.

Anche su contenuti complessi , come il concetto della “banalità del male” della filosofa Hannah Arendt, alle dinamiche sociologiche del famoso esperimento “dell’effetto Lucifero”, alla capacità psicologica di mentalizzazione (temi che probabilmente non sarebbero altrimenti stati toccati in un istituto tecnico, ma neanche in molti licei), i ragazzi hanno mostrato con commenti individuali di averne spesso colto il senso profondo. “Questo corso mi ha fatto pensare che in un altro c’è una mente come me” ha detto uno studente “una persona come me, e quando lo prendo in giro, devo pensarci. Devo chiedermi –Come può sentirsi?- “ (esattamente il concetto psicologico della mentalizzazione).

Un’altra nozione importante per i ragazzi è stata l’acquisizione del concetto di “stereotipo rigido”, per cui abbiamo utilizzato la metafora del costruire un nemico, un “totem”, quando l’altro diverso da me diventa un vuota etichetta contro cui scagliarsi. E scompare la persona che ho davanti. Per metabolizzare questo concetto loro stessi hanno scritto e recitato tre cortometraggi raccontando casi in cui avrebbero potuto fare di qualcun’altro un “totem”. Hanno scelto professori, compagni “secchioni”, stranieri. E’ stata un’occasione per elaborare e ragionare sul loro modo di creare etichette e sulle conseguenze reali a cui possono condurre sulla vita di ragazzi come loro che sono oggetto di bullismo o esclusione dal gruppo.

Il progetto in questo senso è senz’altro riuscito, fornendo elementi di stimolo e maggiore autoconsapevolezza ai singoli e al gruppo classe. Ne sono un risultato tangibile anche i tre cortometraggi. Il valore è stato riscontrato anche da docenti e genitori alla riunione conclusiva, in cui una docente ha raccontato : “Ci siamo accorti che da quando è partito questo progetto, i ragazzi si sentivano osservati da noi docenti, non solo come singoli, ma anche come gruppo classe”. Oppure una mamma che ci ha confidato: “Quando chiedevo  a mio figlio di questo progetto diceva che era molto bello (e lui vive la scuola in modo piuttosto negativo), ma se facevo qualche domanda specifica scattava in un modo insolito. Credo che con questo corso abbiate toccato corde importanti. Corde che di solito nessuno smuove..”.