“Interessante, ma come si fa?”, “Bello, aspetto la seconda puntata.”, “Mi sembra irrealizzabile, per quanto bello.” Queste sono alcune delle reazioni che ho ricevuto sul mio ultimo articolo (lo trovate qui). Allora ho capito che, sì, qualcosa avevo suscitato. Che, alla fine, come funziona il cervello è qualcosa che può interessare e stimolare la curiosità di molti. Che si intravede in questo approccio qualcosa di molto utile per l’educazione, in generale. Allora ho deciso di proseguire sulla stessa scia, andando ancora un po’ più a fondo.

Ci tengo a precisare che questo approccio viene da Daniel Siegel, il padre della neurobiologia interpersonale. Quel filone che studia cioè come le nostre relazioni, la loro qualità, ha un impatto sullo sviluppo del cervello, inteso anche a livello biologico. Molto di ciò che sappiamo dalla psicologia, diciamo più tradizionale, grazie all’evoluzione delle tecnologia medica e delle neuroscienze trova sempre di più un corrispettivo biologico. Nell’immergermi nei vari libri di questo autore, che vi consiglio comunque di leggere per intero, alcuni sono molto divulgativi, ho trovato spunti interessanti che possono essere usati a vari livelli.

L’approccio di Siegel per favorire uno sviluppo cerebrale integrato, che è alla base del benessere psicologico è una strategia disciplinare del tipo “alta relazionalità, bassa conflittualità.”

Cerchiamo di prendere un esempio concreto, per capire meglio. Stiamo per andare ad una cena, un po’ stanchi ma contenti di svagarci un po’, tutto sembra filare per il meglio, quando il nostro bambino instaura una scenata perché non ha nessuna intenzione di mettersi in macchina. L’approccio disciplinare, a cui siamo maggiormente portati e che in parte possiamo aver ricevuto dai nostri genitori è quello che il bambino non può permettersi di fare cosi, deve ascoltarci, stare alle regole. Normalmente, quindi, diciamo frasi tipo: “Basta tu fai quello che dico io, sali in macchina!”, possibilmente consumandoci in buona parte le corde vocali. Questo approccio, se spaventiamo abbastanza il bambino, può dare anche risultati per noi soddisfacenti, lì per lì, ma il più delle volte non fa altro che scatenare una nuova reazione del bambino, possibilmente più terribile della prima.

Questo tipo di approccio, inoltre, tornando al precedente articolo, anche quando ottiene i risultati che speriamo, non offre un aiuto al bambino per sviluppare il piano superiore del cervello. Perché no? Per capirlo partiamo dal presupposto che ogni comportamento sbagliato del bambino sorge da un problema di regolazione emotiva. Il bambino, cioè, con il piano di sopra poco sviluppato, viene completamente preso in ostaggio dal suo piano di sotto. Non possiamo lanciargli il messaggio: “Mamma non ti sopporta quando stai cosi, torneremo ad avere una relazione quando ti sei calmato e sei di nuovo simpatico e di buon umore.” E’ il comportamento ad essere sbagliato, non l’emozione. Come quando un bambino si sbuccia un ginocchio, non ci sogneremmo mai di non dargli alcun tipo di conforto o sostegno, allo stesso modo non possiamo abbandonare i nostri bambini quando soffrono emotivamente. E’ proprio lì, in quel momento, che hanno bisogno di noi. Mentre un bambino è fuori controllo perché non gli comprate la sua merenda preferita, forse vi sta chiedendo: “Papà, mi sento a pezzi, questa cosa per me è insormontabile, che posso fare quando sto così?” Il rischio di un approccio che non tenga conto di questo, cioè dei bisogni che sottostanno a richieste per noi intollerabili e sbagliate, è quella di instaurare un loop infinito in cui vi è un’azione del bambino dettata dal suo piano di sotto, una nostra reazione, anche questa dettata dal piano di sotto, e di conseguenza una nuova azione del bambino, di nuovo mossa dal piano inferiore e via dicendo.

Come ne usciamo? Noi che dovremmo avere il piano di sopra ben più sviluppato del bambino (e se non è cosi, mettiamoci sotto, vi prego!) come possiamo offrigli, di volta in volta, un’educazione intenzionale che sappia vedere il bambino come una persona dotata di un cervello che funziona in un certo modo e di un mondo interiore che ha bisogno di noi per assumere forma e significato? Come possiamo non dialogare con la parte inferiore del cervello del bambino ma, invece, spingerlo, sempre di più, a far uso della parte superiore, delle cortecce, alla parte cioè meno reattiva ma più recettiva?

Secondo quest’approccio l’intera strategia si può riassumere con “ entrare in sintonia e reincanalare”. Qualsiasi nostro intervento educativo, cioè, deve partire dal mettere al centro il bambino e la nostra vicinanza, qualunque cosa stia passando. Alcuni genitori si preoccupano molto del viziare i loro figli. Condivido questa preoccupazione. Un tipo di educazione che metta in primo piano il bambino, quello che prova, che gli dia amore, attenzioni e lo alleni nello scegliere il meglio per lui, non pone, però, il rischio di crescere adulti viziati. Un tipo di educazione, invece, che non permetta al bambino di conoscersi, di trovare e scegliere strategie per gestire le sue emozioni, anche negative, questa, sì, pone rischi di questo tipo. Nel processo di sintonizzazione vi rientrano, per esempio, il comunicare conforto, attraverso anche atteggiamenti non verbali, come la postura, il contatto fisico. Legittimare il vissuto del bambino, ascoltarlo e rispecchiarlo. Per ognuna di queste ci sarebbero tantissime cose da dire che non posso approfondire per ragioni di spazio. Tenete conto, comunque, che non vi sono strategie uguali per tutti, ma piuttosto un approccio, il più possibile intenzionale, per favorire un buono sviluppo cerebrale del bambino, tenendo a mente come sta funzionando il suo cervello. Finché il bambino non è calmo, non vi ascolterà. Più lo sarà, più potrete instaurare un dialogo reciproco con lui, per reincanalarlo verso il comportamento più opportuno. Mi fermo qui, per oggi.

Per sintetizzare tutto questo, senza volerlo rendere banale, ma anzi concreto e vero: la prossima volta che il vostro bambino si alza nel cuore della notte e sparge tutti i giochi per casa, piuttosto che dare di matto e ricordare tutte le regole della casa, condivise da quattro generazioni, provate ad abbassarvi, mettervi sotto il livello degli occhi del vostro bambino, abbracciatelo, provate a desiderare dentro di voi di trasmettergli il messaggio: “Ma che hai combinato? Io comunque ci sono, per te.”, con voce calma provate a chiedergli: “Che succede, hai paura?”. Potreste scoprire risultati sorprendenti. E dormire qualche ora in più. Forse.


Se vuoi approfondire:

Daniel J. Siegel, Tina Payne Bryson (2012). 12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Daniel J. Siegel, Tina Payne Bryson (2012). La sfida della disciplina, governare il caos per favorire lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina Editore, Milano.