Tutti, in tutto il mondo, sanno che siamo in un periodo critico. Ma se dovessimo descriverlo, che parole useremo? A che cosa faremmo riferimento?
Ai fatti dei tg? O alle emozioni provate in risposta ad essi? O, ancora, ai pensieri di cui si è parlato nella rubrica della scorsa settimana? Questo post vuole fornire uno spunto di riflessione sul fatto che definire un problema sia il primo passo verso la sua soluzione.
Per questo, quali insegnanti, educatori, psicologi o appassionati di scuola, definiamo prima a noi stessi cosa abbiamo vissuto prima di spiegarlo agli altri.

Vi propongo un piccolo esercizio.

Provate a ripensare gli eventi considerandoli non come un marasma confuso e irrazionale, difficile da comprendere e contenere, ma come qualcosa di cui è possibile scrivere secondo lo schema qui sotto:
stimolo o evento esterno (ad esempio, non posso uscire di casa e la mia vita sociale è mutata);
reazioni fisiologiche o modificazioni corporee (ad esempio, ho difficoltà di addormentamento o mi sveglio all’improvviso e non riesco più a riaddormentarmi);
comportamenti specifici o pattern di azioni (ad esempio, evito il problema oppure ci penso troppo);
pensieri o aspetto cognitivo (ad esempio, il fatto di non uscire mi rende nervoso); – risposte espressive (ad esempio, assumo un’espressione corrugata o alzo la voce al minimo stimolo durante il giorno);
vissuto soggettivo (ad esempio, mi sento triste). Provate questo esercizio con un’emozione vissuta durante questo periodo.

E questo è il primo step della nostra riflessione sulle emozioni, e in particolare, come riconoscerle in sé prima che negli altri.

Buon inizio!
Aspettiamo un vostro feedback!

Dott.ssa Federica Caccioppola