Avrai sicuramente un’amica delusa da un amore mai corrisposto, un amico tradito da una donna che non teneva veramente a lui. Conosci di certo qualcuno che ha sofferto per amore, e porta quella ferita a vista quasi da renderlo inavvicinabile. O forse, sei tu quel qualcuno. Forse proprio tu hai avuto una profondo dolore e ancora lecchi le tue lesioni. Forse conosci qualcuno che ha un disagio proprio storico, un segno dell’infanzia. Uno di quelle cose che gli psicologi chiamano “il Trauma con la T maiuscola”. Non so se è il tuo caso, ma spesso di fronte ad un simile tema, ci sono questi due tipi di persone: “Le Ferite amorose? roba di altri”. Al contrario c’è chi dice: “io sono ferito e come me nessun altro…”.

In realtà pensandoci bene, ognuno ha la sua ferite. Certo ci sono vari tipi di ferite: quelle tanto profonde, quelle che sanguinano ancora, quelle che si nascondono facilmente. Insomma, quello che voglio dire è che ognuno di noi ha delle piccole o grandi ferite, cose recenti o molto antiche. Esperienze che in qualche modo segnano il nostro stare in relazione con gli altri. Ma cosa ci cambia sapere, che non siamo gli unici al mondo ad esser segnati da sofferenze amorose? Certo non consola, e non fa sentire meno grande il proprio dolore. Ci fa però, forse, intuire una questione: amare è una faccenda molto complessa. Il nostro passato, la nostra storia, le nostre esperienze influenzano il nostro presente.

Qualcuno di noi resta abbagliato dai fidanzati che non litigano mai, o dai coniugi a cui va tutto sempre bene. Non esistono coppie perfette, persone tanto speciali (di solito gli altri non noi) che si può solo che amare, nessun sa amare dall’inizio senza poi continuare ad imparare ad amare. L’amore invece è per sua natura relazione, e la relazione è dinamismo, un percorso. Allora partiamo con il piede giusto in questa riflessione: tutti dobbiamo imparare ad amare. Hai presente quando sei in spiaggia al tramonto. L’orizzonte è lì che ti fissa. Le ferite sono un po’ così, distanti ma presenti, lontane ma ineluttabili.

C’è un secondo falso mito che di solito riecheggia quando si tratta di problemi di cuore: “il tempo guarisce le ferite”. Sarò onesta, non credo sia una affermazione corretta. Il tempo a volte può aiutare a rimarginare un taglio, ma se c’è bisogno dei punti si va dal medico, se c’è bisogno di operare si va dal chirurgo. Insomma, il tempo non è magico. Forse è utile, forse a volte serve. Ma non credo proprio sia risolutivo. Anzi, la mancata elaborazione della sofferenza, può portare addirittura ad un freezing, ad una condizione di chiusura. A mio avviso è necessario inserire invece, un’altra figura, proprio come nel video che trovate sul nostro canale youtube https://youtu.be/gQ71mwEe4QM

Ovviamente, qui non ci stiamo riferendo ad un “chiodo schiaccia chiodo”, insomma ad un continuo migrare da una relazione affettiva all’altra. Se da una parte troviamo il rischio di una chiusura congelante, dall’altra intravediamo il pericolo di un sovrabbondare affettivo, al confine con il superficiale, che impedisce di entrare dentro con serietà, di andare ad approfondire le proprie ferite. Quando si parla di un’altra figura significativa, alludiamo invece ad una relazione che possa guarire, una relazione importante quanto la ferita: un percorso psicoterapico, un’esperienza religiosa significativa, una relazione affettiva solida e sicura.

Vi starete chiedendo, come può uno di questi nuovi legami compensare una precedente sofferenza affettiva o addirittura un trauma. Qui ci vengono in aiuto le ricerche. “I più recenti dati forniti dalle neuroscienze, in particolare dall’uso della risonanza magnetica neurofunzionale, dimostrano come anche altre relazioni affettive possano essere, purché significative, determinanti per la persona. Costruire un rapporto con un’insegnante, avere delle amicizie importanti, consolidare una storia d’amore, intraprendere un percorso psicoterapeutico: tutti questi legami sono in grado di riscrivere le connessioni cerebrali relative alle esperienze passate. Inoltre, secondo Patricia Crittenden, una delle principali studiose di attaccamento e del suo sviluppo nel corso della vita, l’attaccamento può andare nella direzione di un attaccamento sicuro anche «attraverso un esteso processo personale di riflessione e rivalutazione mentale» (Crittenden-Landini 2011).” (Incurvati, Petrichella, 2019).

Dunque, possiamo concludere che una ferita affettiva non va sotterrata sotto il tempo e le lacrime, ma pian piano curata all’interno di una relazione che possa accoglierla e fornire uno spazio protetto per poterla esplorare e poi guarire. La buona notizia è che all’orizzonte ci si può avvicinare. Tornando alla metafora del mare, su una barca sicura, si può andare verso l’orizzonte, avvicinarsi ad esplorarlo. E poi, magari ritrovarsi all’improvviso, stupiti e felici per averlo superato.

Fonti

  • 100.000 baci. L’educazione affettiva e sessuale in famiglia. Incurvati, Petrichella, 2019, Città Nuova.
  • Koizumi M. – Takagishi H., The Relationship between Child Maltreatment and Emotion Recognition, in «PLoS One» 9 (2014).