Per molti ragazzi le pagine dei loro diari (o forse ancor di più i registri elettronici) iniziano ad essere occupate dai compiti per casa assegnati dagli insegnanti. Ed ecco che tra le mura domestiche risuonano antiche melodie… “Hai finito i compiti?”; “Hai fatto matematica?”; “hai studiato per l’interrogazione di inglese?”… alle quali seguono versi altrettanto familiari: “non voglio farli”; “non ne ho!”; “si poi li faccio”; “tanto è inutile non ci capisco nulla di latino”; “tanto non devo essere interrogato”.
Scambi tra genitori e figli che a lungo andare possono risultare ripetitivi, sempre uguali, scontati, noiosi. Eppure ogni giorno può realizzarsi qualcosa di estremamente importante.
I compiti di scuola, infatti, sono una ottima occasione nella quale bambini e ragazzi possono iniziare a gestire il delicato equilibrio tra ciò che viene chiesto loro di fare (da un genitore, da un insegnante, dalla società…) e ciò che avrebbero piacere a fare, l’equilibrio tra l’obbedienza e il semplice arbitrio.
L’obbedienza che non scaturisce da una scelta libera e consapevole è schiavitù, così come lo è anche una scelta che persegue sempre la ricerca del piacere immediato, del tutto e subito.
Fulcro di questo equilibrio è lo sviluppo della consapevolezza del poter decidere, rendendosi conto che si sta decidendo. È la possibilità di domande sempre più profonde sull’uso della propria libertà.
I compiti rappresentano un momento significativo in tal senso poiché nella frustrazione, nella fatica, nella paura di non farcela… i bambini e i ragazzi possono misurarsi con la possibilità di scegliere in vista di uno scopo più grande e più alto, prefigurandosi nuovi orizzonti di esperienza, trovando senso in ciò che stanno facendo.
Difronte ad uno studente che non vuole, che non gli interessa, che non ne capisce il senso, che ha paura di non farcela, che ha paura del rifiuto se sbaglia… ecco alcune indicazioni pratiche di cui poter tenere conto per favorire un clima quanto più sereno e proficuo possibile.
- Teniamo un approccio calmo, chiarendo che fare i compiti è una sua responsabilità.
- Disinneschiamo dinamiche nelle quali le urla, le minacce di punizione, le promesse di premi sono gli elementi principali.
- Difronte a un rifiuto, prendiamoci e concediamo qualche minuto per riflettere sulle possibili conseguenze con l’intento di riparlarne poco dopo.
- Rendiamoci disponibili all’aiuto, stabilendo al tempo stesso degli orari entro i quali devono essere completati i compiti (ovviamente tenendo conto dell’età dello studente e della quantità di lavoro da svolgere)
- Soprattutto nei casi in cui manca una certa fiducia di potercela fare, diamo pieno sostegno, incoraggiando e non cadendo nella trappola dei paragoni con altri bambini o con la difficoltà della materia.
- Evitiamo i rimproveri per gli errori commessi; offriamo quell’aiuto appena necessario affinché sia lui o lei a trovare una soluzione. Se ci sostituiamo lavorando al suo posto, forse saremo soddisfatti di noi stessi per aver ricordato come si eseguono le disequazioni di secondo grado, ma ridurremo la consapevolezza del ragazzo di potercela fare o gli offriremo una facile scappatoia.
- Prevediamo delle pause per una merenda o un momento di libero svago.
- Allontaniamo possibili distrazioni: televisione spenta e possibilmente lo smartphone posto in una stanza diversa da quella dove si lavora.
Infine, costruiamo un dialogo con i nostri figli sull’esperienza dei compiti, aiutandoli ad arricchire di senso ciò che all’apparenza un senso non sembra averlo.
Come scrive in un suo libro Fernando Savater, “Sul modo di usare la libertà interroga la libertà stessa”.
Dott. Gabriele Di Marco