Il film “Joker” ha oramai superato la cifra incredibile di un miliardo di dollari d’incasso, imponendosi con evidenza come un’opera che ha saputo sbalordire e coinvolgere il pubblico, provocando commenti appassionati, interpretazioni e riflessioni che si sono divulgate sui social e nei discorsi per strada contribuendo al successo della pellicola.
Cosa è piaciuto di questo film? Probabilmente molti aspetti si potrebbero sottolineare e tante recensioni è possibile consultare e leggere riguardo questo film. Noi di Progetto Pioneer vorremmo dare una prospettiva nuova…..e abbastanza ardita: pensiamo che il film Joker possa insegnarci qualcosa per quanto riguarda l’educazione (!).
La responsabilità sociale e la responsabilità individuale
Come abbiamo scritto, il film è apprezzabile da tanti punti di vista, ed è da sottolineare come abbia provocato tante reazioni nella comunità professionale degli psicologi perché descrive in modo feroce e vivido l’esplosione psicotica di un individuo allo stremo. Il film ha saputo narrare con cruda credibilità il concatenarsi di fattori che piegano la salute psicologica dell’uomo Arthur fino a destrutturarne il funzionamento, la cui fragile consistenza si sorreggeva su meccanismi di difesa e verità negate, una vita alienante e il supporto farmacologico.
Una volta sgretolata la fragile struttura mentale di Arthur, prorompe come fiamma vulcanica e si rivela una personalità deviata. Un volto che spaventa ma affascina per l’urlo di riscatto che sembra saper incarnare e gridare liberamente, violentemente e con forza: io esisto.
Joker si erge sopra una folla indistinta e scontenta, disperata e acclamante proprio perché fa convergere su di sé, nell’intento degli sceneggiatori, il malcontento della società. Una società classista e irriguardosa verso la difficoltà dei più bisognosi genera irrimediabilmente violenza di ritorno. La responsabilità dell’ingresso del Joker è quindi da attribuirsi alla società che non ha voluto occuparsi di Arthur, ne ha negato l’esistenza in termini di bisogni e diritti. La concezione che pone un nemico altro e ingiusto nella posizione di aguzzino della vittima e poi di vittima del vendicatore è rassicurante perché semplifica la lettura complessa della realtà e deresponsabilizza il singolo individuo.
Eppure il film dà spunti anche per cogliere aspetti molto significativi che possiamo usare per interpellare noi stessi come educatori, agenti attivi e responsabili. Né Arthur, né Joker, né pubblico idiota applaudente né folla violenta acclamante ma semplicemente individui: protagonisti.
Il bambino sopravvissuto
Anche se solamente grazie a rapidi accenni, il film ci fa intendere l’infanzia molto difficile del protagonista. Un rapido racconto descrive una madre traumatizzata e destabilizzata, incapace di prendersi cura del figlio e di difenderlo dalla violenza. Il racconto degli abusi e violenze vissute dal bambino sono le parole che finalmente danno forma e accessibilità alle emozioni incongrue e angoscianti che si provano guardando il film. Finalmente, si coglie il motivo di tanta sofferenza, dei sintomi che l’uomo Arthur manifesta. Dissociazione, acting-out, delirio sono sintomi psicotici che scaturiscono da violenza, mancanza di responsività e povertà affettiva che il bambino Arthur ha subito.
Sono meccanismi di difesa. Meccanismo di difesa? Freud? Sembra già complicato vale la pena approfondire un poco. I meccanismi di difesa sono valvole di controllo mentale che abbiamo tutti, piccoli o grandi dispositivi automatici che aiutano la mente a mantenersi coerente e in equilibrio mentre elabora enormi quantità di informazioni simultaneamente.
D’altronde ci diamo troppo per scontati, è un dato di fatto. Fatichiamo a cogliere il miracolo che siamo, dato che avere una mente, sistema organico autocosciente e personale che rimane coerente nel tempo e gestisce in modo congruo il flusso d’informazioni rendendolo adattivo e significativo…. non è per nulla scontato. Non potremo mai gestire tutto dando attenzione cosciente a tutto, e molti processi e meccanismi avvengono in modo implicito e automatico.
Tra essi ci sono i così detti meccanismi di difesa. Il loro funzionamento contribuisce a dare forma alla personalità di ciascuno di noi e “fa sempre così!” è una frase che spesso sentiamo e che denota un “funzionamento tipico” del quale la persona stessa potrebbe non essere del tutto consapevole. I meccanismi di difesa individuati sono molti e probabilmente avrete sentito parlare di “rimozione”, il più nominato e conosciuto. Se non lo ricordate è perché l’avete rimosso.
La fragile personalità di Arthur è un compromesso accettabile di strutture psichiche che hanno sorretto l’integrità personale a fronte di attacchi e devastazione. Arthur è sopravvissuto ad una infanzia terribile usando le uniche difese che aveva a disposizione.
L’infanzia vissuta
Uno degli aspetti che più di tutti è mancato al piccolo Arthur è l’avere a disposizione un riferimento adulto accessibile e disponibile. Nella vita di un bambino piccolo l’accessibilità di un volto accudente, di mani operose che sanno accarezzare a nutrire, di un corpo che sa scaldare e coccolare e di una mente adulta che sa riconoscere e soddisfare i bisogni sono elementi fondamentali per lo sviluppo. Nella concreta attenzione che gli rivolge, è l’adulto che dà al bambino la sensazione di esistere, di valere, di essere prezioso. “Io esisto“, è l’agognata affermazione che possiamo leggere nello sguardo di una persona che ci ama, ed il primo sguardo che ha tanto potere è lo sguardo materno. Il cervello del bambino è capace di registrare informazioni che si riferiscono allo stato mentale soggettivo di un’altra persona attraverso la decodifica innata di segnali non verbali come: sguardi, espressioni facciali e toni di voce. Questa abilità gli dà la possibilità riflessiva di cominciare a formare attraverso la percezione intersoggettiva della mente dell’altro, la propria stessa mente. Come scrive Fonagy,:
Lo sviluppo del bambino e la percezione degli stati mentali in sé stesso e negli altri dipende, quindi, dalle sue osservazioni del mondo mentale del caregiver. Egli è in grado di percepire gli stati mentali, nella misura in cui il comportamento del caregiver si riferisce a quegli stati
“Io esisto” perché esisto nella cura di una persona che mi vuol bene. Il bambino è quindi messo nella condizione di vivere pienamente la propria condizione quando è accudito amorevolmente e con attenzione. Come fare?
Adulti responsivi, protagonisti responsabili
Noi di Progetto Pioneer abbiamo deciso di metterci insieme per promuovere una nuova cultura dell’educazione affettivo sessuale che si basi su presupposti teorici e applicativi fondati e validi mettendo in opera la nostra passione e competenza a beneficio di educatori e genitori per fornire strumenti e stimoli che aiutino ciascuno a vivere il proprio ruolo da protagonista.
Siamo convinti che è nella culla di positive reti relazionali significative e responsive che la mente relazionale del bambino può crescere e svilupparsi in modo sano e positivo.
Per questo motivo stiamo portando avanti la pubblicazione e diffusione di sussidi pratici e belli per aiutare gli adulti ad essere responsivi e responsabili di cui due sono già pubblicati
- “100.00 baci” riguarda l’educazione affettiva nella prima infanzia
- “Chi siamo un incredibile viaggio” riguarda lo sviluppo sessuale e l’adolescenza
Sono testi consigliati da altri genitori e di cui siamo orgogliosi. Speriamo possano essere utili 🙂
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Consiglio di lettura
Daniel J Siegel (1999), “La mente relazionale“, Raffaello Cortina Editore, Milano