Nell’epoca post-moderna le relazioni interpersonali sono sempre più tecno – mediate a motivo di un utilizzo sempre più diffuso delle tecnologie digitali e degli innumerevoli strumenti che permettono comunicazioni rapide e sempre possibili. Oltre ai vantaggi che ne derivano la psicologia studia e riflettere sugli effetti che una tale disponibilità produce e ai possibili rischi. Si osserva, ad esempio, il crescente fenomeno dell’ITSO, neo-acronimo che sta per Inability To Switch Off, ossia l’incapacità di disconnettersi, fisicamente e mentalmente, lasciando da parte i vari apparecchi tecnologici e interrompendo, così, il flusso costante di condivisioni, clic, likes, tweet e msg. La facilità e l’immediatezza con la quale è possibile interagire con i contenuti che il web offre favorisce inoltre la spettacolarizzazione di sé e l’espressione impulsiva delle emozioni senza che vi sia tempo e spazio sufficiente per attività di riflessione e automonitoraggio. Tutto ciò sembra avere ripercussioni rilevanti: una società sempre meno capace di riflettere su sé stessa, individui che faticano a comprendere cosa provano, desiderano e quali motivazioni orientano determinate scelte e comportamenti, tendenze aggressive in aumento come dimostra la cronaca di atti di bullismo, omocidi, suicidi.
Un buon funzionamento nel monitoraggio autoriflessivo è evidentemente fondamentale per entrare in relazione, in modo sano, con sè stessi e con gli altri. Tale capacità inizia a svilupparsi fin dai primi istanti di vita quando, spinto dalle emozioni, il neonato richiama l’attenzione e cerca la vicinanza del genitore, fonte di sicurezza. Spetterà principalmente a quest’ultimo, negli anni a seguire, di sostenere lo sviluppo del bambino e guidarlo verso una sempre più approfondita conoscenza di sé.
È l’inizio di un viaggio, e per affrontarlo può essere utile ripassare quelle che sono alcune tappe che segneranno l’emergere delle emozioni fondamentali che noi tutti esseri umani sperimentiamo. Un genitore capace di riconoscere nel figlio tali esperienze sarà, in effetti, anche maggiormente in grado di rispondere ai bisogni che tali emozioni sottendono e, parallelamente, favorire lo sviluppo di quelle competenze necessarie al bambino per riconoscere e organizzare, in un tessuto di esperienze coerenti e dotate di senso, gli innumerevoli stati emotivi.
Ecco quindi di seguito una sintetica cronologia dello sviluppo emotivo sulla quale, pur con una certa variabilità, concorda gran parte della ricerca in tale ambito.
Nascita: il bambino manifesta reazioni emotive innate regolate da processi biologici che rispondono a bisogni fondamentali per la sopravvivenza ma ancora prive di una effettiva valenza comunicativa e riferibili a uno stato generale di piacere ed uno opposto di disagio. Possiamo quindi osservare risposte sotto forma di reazioni ai forti rumori, alle sollecitazioni gustative, alle stimolazioni dolorose, al volto umano e ai nuovi stimoli. Da un punto di vista espressivo tali risposte assumono la forma del sorriso endogeno, dell’interesse e attenzione precoce coatta, del trasalimento, dello sconforto e del disgusto. L’aspetto rilevante è l’influenza che tali manifestazioni comunque esercitano sugli adulti garantendo al neonato vicinanza e interazione con essi.
2 -3 mesi: fa la sua comparsa il sorriso sociale che aumenta significativamente la durata dell’attenzione del bambino per il volto materno permettendo una maggior condivisione delle espressioni emotive e che prepara l’emergere della gioia.
3 – 6 mesi: In questo periodo si iniziano ad osservare le prime reazioni di frustrazione che anticipano le emozioni di rabbia e tristezza; queste si manifestano, ad esempio, quando viene impedito al bambino di muoversi o viene violata l’aspettativa di un risultato atteso precedentemente appreso oppure quando l’interazione con la madre viene interrotta.
6 – 12 mesi: la sorpresa sembra emergere come emozione intorno al sesto mese di vita mentre durante la seconda metà del primo anno, a partire da precursori quali il trasalimento e l’attenzione coatta precoce, emerge anche la paura, espressa in particolare quando il bambino si relaziona con una persona a lui non familiare. Il fenomeno del riferimento sociale permette al bambino, posto di fronte ad una situazione ambigua che genera incertezza e paura, di rivolgere lo sguardo verso il genitore per osservare le emozioni espresse dal suo viso ed ottenere così informazioni utili per poter decidere se interrompere o proseguire l’esplorazione. Verso la fine del primo anno la gioia è sempre più collegata al significato che l’evento che l’ha generata assume per il bambino e questo piacere viene condiviso con il genitore assumendo definitivamente un chiaro segnale sociale.
2 anni: i bambini iniziano a manifestare quelle che vengono definite emozioni complesse o sociali, come l’imbarazzo, la colpa, la vergogna e l’orgoglio, emozioni che secondo Lewis sono strettamente legate all’emergere della consapevolezza di sé, ossia alla capacità di fare esperienza di noi stessi come esseri separati dagli altri, ognuno con vissuti propri. Un primo indizio che tale capacità si sta sviluppando è l’arricchimento del linguaggio con termini che rimandano alle emozioni provate, anche negli altri.
30 – 36 mesi: i bambini a partire dai due anni e mezzo di età raggiungono la capacità di mettere in relazione le emozioni con le cause che le hanno prodotte. In questa fase diventano sempre più sensibili al giudizio e ai commenti delle persone a loro più vicine, soprattutto genitori e insegnanti, e a tre anni la qualità delle emozioni provate mostra un chiaro collegamento con la percezione che hanno di loro stessi. mostrano maggior orgoglio quando hanno successo nel terminare compiti più difficili rispetto a quelli più semplici e maggiore vergogna quando, al contrario, falliscono in prove semplici.
4 anni: il bambino è in grado di associare correttamente un’emozione al rispettivo volto che la esprime ed emerge la capacità di mascherare e modificare i pattern espressivi facciali dell’emozione provata quando, ad esempio, il bambino riceve un regalo indesiderato.
6 anni: lo sviluppo cognitivo raggiunto a questa età permette al bambino di considerare effettivamente gli stati interni o mentali dell’altra persona i quali includono desideri, credenze e intenzioni come fattori determinanti l’emozione. È da questo momento, quindi, che inizia ad emergere una conoscenza delle strategie utili per il controllo emotivo e la possibilità di dissimulare le proprie emozioni nel caso in cui la situazione lo richieda. Le emozioni morali, come la colpa, riescono ad essere accostate agli altri in modo sempre più esteso come nel caso dei personaggi che nelle storie e violano delle regole o compiono delle trasgressioni.
L’ultima tappa dello sviluppo emotivo è rappresentata dalla crescente consapevolezza che possono essere provate più emozioni contemporaneamente anche di valenza opposta; comprendere la natura mista e conflittuale delle emozioni è un traguardo che il bambino raggiunge pienamente all’età di circa undici anni.
Riconoscere e rispondere in modo efficace alle emozioni del bambino lo aiuta con gli anni ad acquisire dimestichezza con ciò che prova e a comprendere ciò che accade al suo interno, potendo così mettere in atto comportamenti adeguati alle circostanze. Il tono di voce del genitore, la sua espressione, i suoi comportamenti, sono tutti elementi che permettono al bambino di organizzare la propria esperienza emotiva, di darle un nome e di distinguerla da altre esperienze.
Una seconda fondamentale conseguenza di tali processi è il fatto che il bambino non solo inizia a decifrare i suoi stati interni e a pensarsi mentre si pensa, ma comprende anche che l’altro ha una mente simile alla sua, anch’essa dotata di pensieri ed emozioni propri. Lo stesso processo di monitoraggio che opera su di sé può quindi utilizzarlo per scandagliare e fare ipotesi su ciò che l’altro prova, sente, pensa e riconoscerlo come distinto da sé, come una realtà diversa, decentrandosi.
Si passa così da un primo livello di coscienza primaria, che è l’esperienza dell’emozione provata e che mi restituisce un senso di esistenza (sento, dunque sono), ad un secondo livello che vede lo sviluppo di una coscienza di ordine superiore e che ha come protagoniste principali sempre le emozioni ma ora messe in relazione e in comunione con gli altri per mezzo, soprattutto, del linguaggio. Il linguaggio mi permette infatti di rendere conoscibile ciò che sento, elaborandone i contenuti e comunicandoli all’altro, andando oltre me stesso e incontrando l’altro nella sua realtà. Non c’è più quindi solo l’attivazione dell’emozione che spinge verso un determinato comportamento, ma c’è l’emozione in relazione a qualcosa o qualcuno che va al di là dei miei bisogni immediati e che per questo motivo posso regolare, esprimere o non esprimere, liberamente e responsabilmente tenendo conto del valore, della realtà e della libertà dell’altro.
Barone L., (2007). Emozioni e sviluppo. Percorsi tipici e atipici. Roma: Carocci Editore.
Cantelmi T, Toro M.B, Scicchitano M., Lambiase E., (2015). Essere padre e madre oggi. Crescere i figli con equilibrio e stabilità. Milano: Edizioni San Paolo.
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