Chi è il bullo?
Il bullo deve imparare da zero i rudimenti
di una grammatica del vivere civile
di cui non conosce il codice.
(A.Fonzi)
Nei bulli, come nelle bulle, si riscontra un’immaturità nel riconoscere alcune emozioni che regolano la convivenza sociale. Il bullo non conosce colpa, vergogna, empatia la cui assenza sta alla base del disimpegno morale che ostenta in molte circostanze. Non gli importa che gli altri soffrano a causa sua o che il suo comportamento venga giudicato male (Fonzi, 2012). Molti bambini o adolescenti inclini al bullismo mostrano una caratteristica mancanza di empatia, che non consente loro di sviluppare una normale vita di relazioni. Per godere appieno della vicinanza degli altri è infatti necessario tenere conto dei loro sentimenti e del modo in cui i nostri sentimenti interagiscono con i loro. Un soggetto che compie un atto bullistico non è invece in grado di avvertire lo stesso senso di rimorso che la maggior parte di noi avvertirebbe dopo aver ferito un’altra persona. D’altra parte, crescendo, un soggetto che si comporta da bullo incontra sempre maggiori difficoltà a sviluppare vere amicizie.
In famiglia oltre allo stile educativo (permissivo, autorevole, distratto, autoritario) e caratteristiche con una chiara valenza negativa, ma anche, fate bene attenzione, elementi a cui siamo soliti attribuire scarsa importanza, ritenendoli, erroneamente, banali. (Daffi, Prandolini, 2012) incidono sullo sviluppo di un atteggiamento da Bullo.
Atteggiamenti aggressivi diffusi in famiglia: figli di genitori che ricorrono spesso alla violenza hanno una maggiore probabilità di assorbire modelli di comportamento da bulli. Va inoltre ricordato che famiglie nelle quali sono diffusi comportamenti al limite della legalità, o chiaramente delinquenziali, sono ovviamente ambienti a elevato rischio. Ciò che i grandi fanno in famiglia, soprattutto i piccoli li riproduco in aula.
Scarsa attenzione verso ciò che accade quotidianamente al bambino/ragazzo: una sorta di disinteresse o, se preferiamo, di disimpegno educativo, per cui i genitori non si pongono il problema di conoscere le abitudini, le passioni, gli interessi del figlio. Mamma e papà non sanno rispondere alla domanda: «Che cosa fa Marco durante il giorno?», oppure danno risposte insufficienti, del tipo: «La mattina va a scuola e il pomeriggio gioca in quartiere». Ma che cosa fa a scuola? Come gioca e con chi nel quartiere?
Poca coerenza nelle risposte alle azioni del bambino/ragazzo: un ambiente familiare nel quale si alternano indifferenza e reazioni «esagerate», «minacce di sanzioni» cui non fa seguito un reale provvedimento, regole «date», ma non fatte rispettare, un fattore di elevato rischio. In alcune famiglie, anche se i genitori affermano l’esistenza di limiti all’aggressività espressa, in realtà non vengono messi in atto provvedimenti con i quali fissare dei paletti ai figli o, nell’eventualità, «punire» comportamenti scorretti, dove per «punire» intendiamo una qualsiasi forma di intervento da parte di mamma e papà, che faccia seriamente comprendere al bambino/ragazzo la gravità del gesto «da bullo».
Come favorire allora atti di gentilezza?
I genitori che desiderino attivarsi per sostenere lo sviluppo di una competenza etica nel proprio figlio non dovrebbero temere di proporre al presunto bullo di aderire a qualche esperienza socialmente indirizzata: associazioni di volontariato, aiuti programmati in occasione di particolari iniziative o anche solo sporadiche esperienze finalizzate a fare qualcosa per gli altri. Non è necessario giungere per forza all’iscrizione a un gruppo (potrebbe semplicemente essere sufficiente portare con sé il figlio quando si va a far visita alla zia ricoverata, o quando si aiuta il vicino di casa a liberare il proprio ingresso dalla neve). Anche le più piccole esperienze possono far riflettere il presunto bullo sulla natura delle relazioni e sui principi etici che la regolano. Rendere evidente e condividere una scala di valori. Non è corretto descrivere il bullo come un bambino o un ragazzo senza valori. Se consideriamo il bullo come qualcuno con il quale non è pensabile parlare di ciò che è bene e di ciò che è male, cioè di morale, significa che escludiamo a priori la possibilità di promuovere in lui la crescita di qualsiasi competenza etica. I genitori dovrebbero partire dal desiderio di voler scoprire come è ordinata la scala di valori del figlio: che cosa ritiene oggi importante? A cosa attribuisce un valore, pensando al proprio futuro? Premesso che non tutti gli uomini seguono gli stessi ritmi di sviluppo, così come non tutti giungono agli stessi livelli di competenza etica, ciò che le varie ricerche in ambito psicologico hanno dimostrato è che il passaggio da una fase all’altra dello sviluppo morale, così come il cambiamento e il rinforzo della propria scala di valori, è stimolato e favorito dal dialogo con chi si trova a un livello di crescita superiore, in questo caso potremmo dire con il genitore. Non è tanto importante che genitori e figli condividano immediatamente la stessa scala di valori, fondamentale è che ognuno renda evidente all’altro la propria, per cui sarà soprattutto importante che mamma e papà parlino di valori con i figli e facciamo in modo di creare occasioni di confronto finalizzate a spronare il cambiamento e la maturazione dei valori del bambino/ragazzo, nel rispetto dei suoi tempi di sviluppo.
Riflettere sui valori presenti nella realtà. Anche se attualmente l’immagine del bullo inizia ad essere messa in discussione anche dai media, tuttavia è bene ricordare che il prepotente, magari anche solitario e dalle maniere brusche, è sempre stato considerato un modello positivo. Ovviamente tutti i genitori sanno che gli atteggiamenti aggressivi vanno condannati, che non è bene proporre ai bambini esempi di comportamenti violenti e arroganti; eppure il cinema, i programmi televisivi e perfino i cartoni animati hanno sempre giocato sull’ambiguità di personaggi «combattivi» e incontenibili. È indiscutibile la necessità di aiutare i presunti bulli a leggere e interpretare correttamente ciò che quotidianamente viene loro propinato dal piccolo schermo. D’altronde sono parecchi gli spettacoli, o i programmi fatti di sfide, nei quali il più forte, inteso come il più oppressivo, il più bullo, assume un ruolo importante, di tutto rispetto, magari non risultando vincitore formalmente ma riscuotendo le discutibili simpatie del pubblico. Non è un caso se in tutti i reality show recentemente proposti gli autori hanno deciso di inserire uno o più personaggi prepotenti, solitamente ritenuti interessanti: il fascino del male è sempre all’erta. Tuttavia, mentre si suppone che l’adulto abbia gli strumenti per distinguere tra i modelli e i valori costruiti dai media, funzionali spesso solo allo spettacolo a cui si intende dar vita, e quelli utili per inserirsi con successo nella vita reale, a volte ben distanti e differenti dai primi, questa capacità critica non è certamente riscontrabile in un bambino. Se nel piccolo schermo urlare e «dar di matto», magari ottenendo di non essere «eliminato» in una competizione, o di mettersi in mostra in un dibattito, può tenere il pubblico incollato alla Tv, nella vita reale, a scuola o sul posto di lavoro, chi si comportasse allo stesso modo verrebbe certamente escluso, ovviamente senza nemmeno possibilità di far ricorso al televoto. L’unica strategia che i genitori del bullo possono, quindi, adottare per aiutare il figlio a leggere, riconoscere e riflettere sui valori presenti nella realtà vissuta è quella di essere il più possibili presenti nel momento in cui i media propongono alcuni valori.
Atti di bellismo:
- Condivisione e fiducia nell’altro.
- Aiutare e favorire inclusione.
- Chiedere scusa e perdonare chi lo chiede.
- Abituare all’ordine e rispetto spazi altrui
- Ascolto empatico.
Ricordiamo i valori ai nostri ragazzi, sicuramente da essi dipende la costruzione sociale di un essere consapevole dei propri diritti e doveri, capace di metacognizione ed empatico verso il prossimo!
Dottoressa
Francesca Fiume